Il delitto dell'Olgiata

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IL DELITTO DELL'OLGIATA: affari, tangenti e servizi segreti? No, un cameriere filippino.

E' la storia di un mistero durato 20 anni. La storia di un delitto attorno al quale si sono fatte le ipotesi più suggestive e disparate. Risoltosi grazie ad una prova scientifica.

E' il 10 luglio 1991. La giornata è appena cominciata quando, nella sua camera da letto in una villa dell'Olgiata (una zona esclusiva a nord di Roma), viene ritrovato senza vita il corpo di Alberica Filo della Torre, una nobildonna sposata ad un costruttore della capitale, Pietro Mattei. La contessa è stata strangolata ma prima è stata tramortita con un corpo contundente (si ipotizzerà fin da subito trattarsi di uno zoccolo). Dalla stanza manca solo qualche gioiello, ma il grosso dei preziosi non è stato neanche cercato dall'assassino.

Sulle ipotesi gli inquirenti si dividono: la polizia si concentra inizialmente sul movente più ovvio, il delitto passionale: la contessa avrebbe ricevuto nella sua camera un uomo, un misterioso amante, sarebbe scoppiata una lite e un tremendo colpo alla testa avrebbe ucciso Alberica. Il colpo inferto al capo ed il successivo strangolamento sono infatti compatibili con un raptus omicida. Per i carabinieri, invece, l'assassino doveva essere qualcuno che la vittima conosceva e di cui si fidava, qualcuno in grado di entrare nella villa e muoversi pressoché indisturbato. Saranno questi ultimi, 20 anni dopo, ad avere ragione. Ma al momento qualcosa non torna. La villa dell'Olgiata, a quell'ora del mattino (tra le 8,45 e le 9,10) era piena di gente: due domestici, i due figli della contessa, una baby sitter e quattro operai che stavano effettuando dei lavori in quanto fervevano i preparativi per una festa che si sarebbe svolta la sera stessa.

Con il marito della vittima che, durante il delitto, si trovava in ufficio, i primi sospetti si incentrano su Roberto Jacono, figlio dell'insegnante di inglese dei bambini di casa Mattei, un giovane con alcuni problemi psichici che viene inquisito per alcune macchie di sangue rinvenute sui suoi pantaloni: sarà l'esame del DNA a scagionarlo. Dopo Jacono i sospetti si spostano su di un cameriere filippino licenziato poco tempo prima, Manuel Winston. Ma anche lui (oggi possiamo dire incredibilmente) viene scagionato con la prova del DNA. Winston è la stessa persona che, a 20 anni di distanza, verrà fermata il 30 marzo 2011 e che, due giorni dopo, confesserà l'omicidio della contessa. Ad incastrarlo, questa volta, un esame più sofisticato del suo DNA trovato sul lenzuolo con il quale l'assassino aveva coperto il volto della vittima. Resta il movente del delitto che, stando alla confessione di Manuel, è quanto mai futile: il giovane, allora ventunenne, era stato licenziato dalla contessa perché beveva troppo e continuava a chiedere anticipi sullo stipendio senza mai restituirli. Quella mattina passò dal garage senza farsi vedere e, entrando nella stanza della contessa per un chiarimento, la uccise in preda ad un raptus. "La colpii con uno zoccolo – ha detto ai magistrati – poi non ricordo più nulla". Ma molti particolari ancora non tornano.