Il delitto di Via Poma

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Simonetta Cesaroni, una ragazza di 21 anni, viene trovata senza vita attorno alle 22,30 del 7 agosto 1990 a Roma, in Via Poma 2, nel quartiere Prati, dove lavorava come segretaria presso l'Associazione Italiana Alberghi della Gioventù.

A scoprire la tragedia sono la sorella Claudia, il suo fidanzato, il datore di lavoro di Simonetta e la moglie del portiere dello stabile.

Il corpo della ragazza giace supino in una stanza, le gambe divaricate, senza slip e con il reggiseno sollevato. E' stato trafitto da 29 coltellate al volto, alla gola, al tronco e al basso ventre. L'arma utilizzata per il delitto è, probabilmente, un tagliacarte che non è mai stato ritrovato.

La tempia destra presenta una ecchimosi, come se fosse stata colpita da un violentissimo schiaffo. Sul seno ha il segno di quello che sembrerebbe un morso.

Il corpo è seminudo ma la ragazza non presenta segni di violenza sessuale.

L'assassino ha portato via i pantaloni, gli slip e la maglietta nonché alcuni oggetti d'oro appartenuti a Simonetta.

Prima di fuggire ha cercato di ripulire l'appartamento, alcuni stracci vengono ritrovati sciacquati, strizzati e rimessi al loro posto. Un gesto che fa pensare all'intenzione dell'assassino di spostare il cadavere e che, con molta probabilità, conosceva l'appartamento.

Simonetta si recava in quell'ufficio due pomeriggi a settimana, il martedì e il giovedì, per un lavoro da fare al computer.

L'ultima azione di lei che si conosce è una telefonata fatta alla sua collega (sempre che sia stata Simonetta a farla) Luigia Berrettini per chiederle una password che non ricordava. Erano le 17,30 e da quel momento su Simonetta Cesaroni cala il buio.

Comincia così un mistero che ha messo a nudo le inadeguatezze di una indagine condotta in maniera approssimativa, piena di errori investigativi, con testimoni che cambiano continuamente versione, con chiacchiere e pettegolezzi.

A tutt'oggi gli investigatori non sono riusciti a stabilire neppure l'elemento fondamentale per qualsiasi inchiesta: l'ORA DEL DELITTO.

Il sospettato numero uno è stato per lungo tempo Federico Valle, un giovane che abitava nello stesso palazzo dove è avvenuto il delitto. A scagionarlo sono stati l'esame del DNA e il fatto che non avesse su di se alcuna ferita mentre è certo che l'assassino, nella fase finale dell'omicidio, si è ferito.

Prima di lui era stato però accusato il portiere di Via Poma, Pietrino Vanacore, in un secondo tempo scagionato dopo un periodo in carcere.

Le indagini ipotizzano che prima di essere assassinata Simonetta ha lottato con il suo omicida.

La dinamica resta comunque misteriosa: la porta dell'appartamento non è stata forzata quindi o l'assassino aveva le chiavi oppure Simonetta gli ha aperto.

Misterioso anche il ruolo del computer sul quale la ragazza stava lavorando. In un primo momento la società di informatica incaricata di esaminare il computer stabilisce che lo stesso è stato acceso alle 16,37 ma, sei anni dopo, una nuova perizia scopre che il computer non ha l'inserimento automatico dell'ora di accensione per cui quell'ora (le 16,37 appunto) potrebbe essere stata inserita da chiunque.

Dopo il proscioglimento di Valle e Vanacore la procura di Roma ha in mano soltanto due indizi: la saliva del fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, trovata sul corpo della ragazza, e l'impronta di un morso o presunto tale.

Nel 2009 Busco viene rinviato a giudizio e qualche mese fa condannato a 24 anni di carcere. Intanto Pietrino Vanacore ha scelto di suicidarsi il giorno prima di testimoniare in aula. PERCHE'?

Gli avvocati di Busco, Paolo Loria e Franco Coppi, stanno preparando il giudizio d'Appello.